Decidere con quale testo iniziare questa sezione è stato veramente complicato, di libri di viaggio ne ho letti molti. Questo di cui vi parlerò rappresenta per me, se mi passate l’espressione, “il libro che ti può trasformare in un viaggiatore” e quindi merita di essere il primo della – spero lunga – serie di libri di cui vi parlerò.
Parlerò di «Patagonia» per dirla come l’avrebbero detta Coleridge e Melville, per significare qualcosa di estremo, la “finis terrae”, l’estremo confine dell’avventura umana . Negli anni della guerra fredda la Patagonia era considerata l’ultimo rifugio in cui i naufraghi della prossima guerra atomica avrebbero potuto sopravvivere. L’autore di questo libro e un gruppo di suoi amici scelsero appunto la Patagonia. Ma Bruce Chatwin, non andò per salvarsi da una catastrofe, andò sulle tracce di un mostro preistorico e di un parente navigatore. Li trovò entrambi – e insieme scoprì ancora una volta l’incanto del viaggiare, quell’incanto che è così difficile da riscoprire oggi, quando ogni angolo del mondo è divenuto il pretesto per un viaggio tutto incluso.
Eccolo di nuovo: l’inesauribile richiamo, il vagabondo trasalire di un’ombra – il viaggiatore – fra scene sempre mutevoli. E nulla si rivelerà così mutevole come la Patagonia, che si presenta come un deserto: «nessun suono tranne quello del vento, che sibilava fra i cespugli spinosi e l’erba morta, nessun altro segno di vita all’infuori di un falco e di uno scarafaggio immobile su una pietra bianca». All’interno di questa natura, che ha l’astrattezza e l’irrealtà di ciò che è troppo reale, da sempre disabituata all’uomo, Chatwin incontrerà un arcipelago di vite e di casi molto più sorprendente di quel che ogni esotismo permetta di pensare: coloni gallesi che versano il tè fra i ninnoli e folli che si trasmettono il titolo di re degli Araucani o coltivano la memoria di Luigi II di Baviera; qui si incontrano ancora elusivi ricordi di Butch Cassidy e Sundance Kid; qui naufraghi ed esuli boeri, lituani, scozzesi, russi, tedeschi vaneggiano sulle loro patrie perdute; qui Darwin incontrò aborigeni dal linguaggio sottile, e li trovò così «abietti» da dubitare che appartenessero alla sua stessa specie; qui si contemplano unicorni dipinti nelle caverne; qui sopravvive qualcuno che vuol far dimenticare un atroce passato.
Chatwin ci racconta le sue molte tappe: fra baracche di lamiera, assurdi chalets, finti castelli, vaste fattorie. E ogni tappa è un piccolo romanzo. Alla fine, la Patagonia sarà un regno delle ombre, che si muovono sul fondo della «calma primitiva» del deserto, nella quale, forse, si può trovare la Pace di Dio.
One response
Sarà difficile che io possa andare in Patagonia, però da quello che ho letto, sicuramente è una terra affascinante e la descrizione tramite questo articolo , comunque mi ha fatto venire desidero di conoscerla almeno attraverso il libro.